DOMENICA 24 DI AGOSTO 2014

L’inno popolare cittadino udinese “Oh ce biel cjiscjel a Udin”, in lingua friulana, per la prima volta cantato insieme da nativi e immigrati, segno di unità nella diversità e nel comune amore per la piccola patria: questo è accaduto domenica 24 agosto 2014, su suggerimento del Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico “Fogolâr Civic” e del Circolo Universitario Friulano “Academie dal Friûl”, presso la parrocchia di San Pio X a Udine, al termine di una solenne celebrazione eucaristica che, officiata dal noto e amatissimo parroco don Tarcisio Bordignon nel centenario della morte del santo titolare locale – quel pontefice veneto che, tra le altre, amava la “furlana”, celebre ballo tradizionale del Friuli -, ha visto riunite tutte le diverse realtà etniche, culturali e sociali del territorio, presenti i labari rionali degli alpini e dei donatori di sangue, l’insegna circoscrizionale del “quintiere” storico udinese di Aquileia portata da una delegazione del Fogolâr Civic, picchetto d’onore formato dalle signore Marisa Celotti e Mirella Valzacchi, la corale “Cantori del Friuli” di Udine e bandiere, cori e rappresentanze in costume delle comunità immigrative eritrea, ghanese e nigeriana i cui idiomi sono risuonati nella parrocchiale accanto all’italiano, al latino e al friulano, lingua, quest’ultima, utilizzata anche per un pregnante, finale, interetnico, omaggio laico alla Madonna, antica patrona del suburbio e della città tutta (prima dell'”avvento” tardomedievale dei protomartiri aquileiesi Ermacora e Fortunato), tributato per l’appunto attraverso il canto comune dell’inno popolare urbano, di fronte alla storica icona mariana del quartiere di Baldasseria, riferimento delle più remote tradizioni devozionali della periferia meridionale udinese, omaggiata e benedetta anche dallo stesso Papa Francesco ed ornata per l’occasione con i colori aquileiesi oro e azzurro, richiamo alle radici culturali e spirituali della zona. Successo particolare ha avuto l’indirizzo di saluto rivolto in lingua friulana alla multietnica assemblea di fedeli dal presidente di Fogolâr Civic e Academie dal Friûl, prof. Alberto Travain, udinese e friulano d’antichissima stirpe, che ha rimarcato come l’idioma proprio della regione debba essere inteso non come elemento di chiusura etnica, ma come interetnico coagulante di una comunità certo forzatamente oggi rimpinguata da nuove leve, da radicare culturalmente nel territorio, ed ha criticato anche duramente una friulanità autoctona a suo parere sin troppo aperta in senso remissivo, prima nei confronti di un’invasiva italianità nazionale pesantemente omologatrice, poi nei riguardi di un’altrettanto omologante globalizzazione, al punto che oggi nelle scuole risultano optare per l’insegnamento della lingua friulana non di rado forse più i “foresti” che gli autoctoni confusi e allettati da un globalismo da periferia il cui unico approdo è l’affondamento di una lingua e di una cultura ultramillenarie, nate dalla fusione delle civiltà incontratesi nella “splendidissima” – si diceva in tempo – antica metropoli di Aquileia. A titolo esemplificativo Travain ha voluto ricordare come all’inizio dei suoi studi universitari, a Udine, sullo scorcio degli anni ’80 del secolo scorso, l’unico compagno con cui potesse intrattenere un dialogo in “marilenghe” fosse uno studente oriundo eritreo! Piacevole, al termine dell’intervento dell’esponente culturale friulano, il privato scambio di convenevoli, battute e commenti di condivisione con i partecipanti alla cerimonia, tra cui molti africani, “dut par fulan”, nella lingua locale, eredità della cosmopolita grandezza aquileiese affidata alla custodia edificante anche degli ultimi arrivati, ha detto Travain congedandosi con lo storico motto latino “Aquileienses sumus”, “o sin di Aquilee – ha concluso – la mari che e à tignût par fîs int di ogni gjernazie pûr che no nemîs” (“Siamo di Aquileia, la madre che ha accolto come figlie genti di ogni nazione purché non ostili”). A chi ha chiesto delucidazioni al professore in merito alla sua posizione in materia di accoglienza oggi, egli ha risposto perentoriamente “integrazione sì, per chi è già tra noi, però basta con nuove immigrazioni: non si può essere accoglienti all’infinito e magari a discapito del proprio popolo!”

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